10 agosto 2008

Appiedati. Azzoppati. Arrivati


Emozione dell'ultimo giorno. Questaa traversata è volata via veloce, dico a Simone, è come se avessi camminato per appena cinque giorni. E lui: pensa te, a me è sembrato di non essere nemmeno partito. In realtà io ho davvero camminato così poco, la marcia tanto agognata alla fine l'ho vissuta quasi sempre al telefono e via blog, seduto su una sedia coi piedi sdraiati e fasciati, maledicendo un paio di scarpe sbagliate. Simone invece ha deciso di continuare, mi è sembrato un eroe anche se giustamente è una parola che non gli piace, e poi in fondo noi volevamo solo camminare. E dunque rieccoci qui, ad avanzare appiedati sotto il sole di un sabato d'agosto. Da mare a mare, e ora che la collana della nostra impresa è quasi tutta srotolata, vista da vicino o vista da lontano, non abbiamo ancora tanta voglia di pensare a cosa possa significare, per noi o per gli altri. Abbiamo scarpe più comode e vesciche a cui ormai abbiamo fatto quasi l'abitudine. In marcia al nostro fianco c'è Marco, il padre di Simone che lo accompagna ormai dalle tappe umbre, e poi amici e parenti che ci aspettano all'arrivo, che non sono voluti mancare allo storico finale della nostra impresa così gloriosa e così insensata. Qualcuno di loro ci intercetta sulla strada provinciale per San Benedetto, mentre ci rifocilliamo di fronte a una scuola elementare abbandonata in mezzo ai vitigni. La nonnina ci scruta con un sorriso generoso e assai più furbo di noi. Percorriamo gli ultimi saliscendi delle colline marchigiane, dove l'uva cresce promettendo buoni vini rossi, dove c'è ancora qualche campo di grano, prima della volata finale verso il mare, come il buon vecchio Zanghedù nelle Tirreno - Adriatico di una volta, ricordate? Fa caldo, naturalmente, ma qualche folata di tramontana ci viene in soccorso. Ci telefonano ancora amici, lettori del blog, Paolo Guarino che fu con noi nella tappa abnorme e storica del lago di Vico, ex compagni di scuola, Damiano Celestini che ci annuncia che il tg di Civitavecchia in cui lavora celebrerà degnamente il finale della nostra impresa. Sono tanti davvero, conosciuti e non, quelli che via blog e via telefono ci sono stati vicini in queste settimane: tutti da rigraziare.

La meta per questi diciassette giorni è stata il viaggio, ma ora che è arrivata dobbiamo ammettere che siamo un po' emozionati. All'una vediamo per la prima volta il mare riempire la curva dell'orizzonte dalle colline vicino Acquaviva. L'Adriatico. Dall'altro lato del ponte di questa scalcagnata nave che è l'Italia. Alle tre e mezza incontriamo il primo cartello che ci annuncia l'ingresso a San Benedetto del Tronto. E' pure un po' imbrattato da una scritta ultras e circondato da rovi, ma la foto di rito è d'obbligo. Non sprechiamo però troppa solennità: mancano ancora tre chilometri e mezzo alla riva. Ci fermiamo a un bar, ci mettiamo il costume. Veniamo sovrastrati dal nastrone d'asfalto dell'autostrada adriatica, e poi il centro sanbenedettese è nostro. L'ultima discesa dal borgo vecchio, coi turisti in sandali e ciabatte. Il mare è lì, ora non ci serve più nessuna mappa. Qualche passeggiatore in bicicletta ci scampanella sul marciapiede. Verso il centro, verso il corso, verso una piazzetta tutta curata con le giostre e i festoni, verso il lungomare con le palme. E poi giù da una scalinata, sulla sabbia, sulla spiaggia scansando bagnanti. E' per noi quella bellissima folla laggiù, con qualche cartello e le macchine fotografiche in azione. Qualche drappello di nullafacenti come noi, un po' di bagnanti incuriositi dal trambusto. Chi saranno questi strani personaggi con zaini enormi, scarpe da ginnastica e calzini, e una maglietta con una tartaruga affaticata sul petto? E noi siamo arrivati fin qui, appiedati o azzoppati fa niente, e corriamo a bagnarci i piedi. Io tengo ancora un calzino di cotone per coprire le ferite. Una bottiglia da stappare, un'ampolla da riempire. E ci spogliamo degli scarponi, che ormai fanno solo caldo, della maglietta e dei calzoncini. Con passo incerto guadagniamo la riva. Poi sotto i piedi più niente.